mercoledì 26 novembre 2008

L’ENERGIA DI HIGH SCHOOL MUSICAL DA DICEMBRE AL BRANCACCIO


Una platea che canta più forte degli attori, protagonisti presi d’assalto da folle di bambini e di mamme che chiedono autografi, un successo planetario. High School Musical ormai è davvero il fenomeno musicale e cinematografico degli ultimi anni e non solo, perché le avventure di questi liceali sportivi, belli e dotati di voci coinvolgenti, hanno investono anche il mondo del teatro. Al teatro Brancaccio di Roma, per la prima volta nella Capitale, dal 3 dicembre e per tutto il periodo natalizio, va in scena lo spettacolo ispirato al primo film della serie, una produzione affidata al re del musical all’italiana: Saverio Marconi. Il regista e direttore della Compagnia della Rancia ha creato un’opera unica, simile, ma allo stesso tempo diversissima dalla sua omologa americana. “In tutto il mondo è stata portata la versione inglese del musical – racconta Marconi – mentre in Italia la Disney ne ha chiesto una fatta apposta, perché si ha a cuore la creatività tipica del nostro popolo. Noi l’abbiamo rifatto a nostro gusto, modificando canzoni, costumi e a volte abbiamo anche fatto cambiamenti al testo. La Disney ha supervisionato il lavoro e l’ha approvato”. High School Musical - Lo spettacolo è tutto in italiano e cantato dal vivo da 22 giovani interpreti con all’attivo percorsi artistici che non hanno nulla da invidiare agli attori adulti. La star indiscussa è Jacopo Sarno, l’interprete di Troy, il popolare capitano della squadra di backet del liceo che nei film ha il volto dell’idolo delle teenager Zack Efron. L’artista diciannovenne ha esordito da giovanissimo nel mondo della musica e della recitazione: dal 1995 al 1997 è il piccolo Paolino nella sit-com “Io e la mamma” con Gerry Scotti e Delia Scala, poi dal 1999 è diventato doppiatore, interpretando, tra le tante cose, il passerotto di Alex del Piero nel celebre spot per l’acqua minerale. Nel 2003 partecipa al festival di Castrocaro come cantautore, dal 2006 è conduttore per Nickelodeon e Mtv, mentre nel 2007 arriva il ruolo di “Jaki” nella sit-com “Quelli dell’intervallo” su Disney Channel. Oltre a ballare, cantare, comporre e suonare, studia Filosofia all’università Statale di Milano, e per lo spettacolo ha anche dovuto imparare a giocare a basket. “La vera difficoltà è stata ballare e far rimbalzare i palloni in sincrono – racconta – una volta ho fatto canestro con un rimbalzo venuto male senza accorgermene”. La cosa più bella, però, “è il gruppo di noi ragazzi, siamo molto amici e ognuno ha una sua professionalità, quindi cerchiamo di rubare ognuno le qualità migliori dell’altro”. Anche Denise Faro, l’interprete di Gabriella, la ragazza di Troy, dice di amare questo ruolo e l’energia dello spettacolo: “Ogni sera ci aiutiamo a vicenda e ricreiamo un affiatamento tra di noi, rendendo più vera la recitazione”. Denise Faro ha esordito nel 2003 in televisione con “Un medico in famiglia” e nel 2008 al cinema con “Come tu mi vuoi” con Nikolas Vaporidis e Cristina Capotondi. Interpreta la protagonista femminile, inoltre, in “Giulietta e Romeo” di Riccardo Cocciante e Pasquale Panella. Dopo le date romane lo spettacolo toccherà oltre 30 città italiane, a cominciare da Milano, all’Allianz Teatro dal 14 gennaio al primo febbraio.

martedì 25 novembre 2008

Malie d'amore e antichi canti lucani: la magia di "Vito ballava con le streghe"

“Una storia che si riferisce alla memoria, ma è intrisa di simboli che parlano al tempo presente e guardano al futuro, perciò è anche un presagio”. Così lo scrittore lucano Mimmo Sammartino definisce “Vito ballava con le streghe”, il docufilm presentato oggi a Roma alla sede Rai di viale Mazzini, ispirato al suo libro omonimo. Un film “strano, insolito” secondo le parole dello stesso regista Vittorio Nevano, che ondeggia tra tradizione, poesie in dialetto, frasi antiche e panorami di roccia e montagne che oggi, come ieri, incantano i viaggiatori in Basilicata. La pellicola è stata girata tra Castelmezzano, Pietrapertosa e Campomaggiore, nel cuore delle dolomiti lucane, montagne uniche per la complessità delle loro cime frastagliate, alla cui ombra si svolge la storia di Vito, un semplice contadino che cade sotto l’influsso delle masciare. Queste streghe pagane, che volano di notte su cani bianchi, gli cambiano la vita, facendolo sposo di una di loro, una donna che può essere “anche una santa”, che sembra già conoscere il loro destino. “Quello di Sammartino è un libro difficile da tradurre in immagini – racconta Nevano – parla di un mito, rende immortale un posto e una regione dalla cultura elevata. Credo che anche il cast sia riuscito a rendere questa grandezza”. Interpretato da giovani attori della Basilicata, ma anche da vere guest star, come Ulderico Pesce o il poeta della beat generation, con origini lucane, John Giorno, il film andrà in onda su Rai Tre il 26 novembre all’una e dieci e sarà distribuito anche all’estero. “È un lavoro importante – ha sottolineato il regista – perché ha messo insieme la Rai e le amministrazioni della regione e dei Comuni”. Alla presentazione, infatti, era presente anche il governatore della Basilicata, Vito De Filippo: “Stiamo inventando molte strade per promuovere una piccola regione del Sud fatta di suggestioni importanti” ha detto il presidente, ricordando che Castelmezzano, il paese di 900 abitanti dove è cresciuto Sammartino, è a rischio spopolamento, ma “così torna a vivere”. De Filippo ha sottolineato anche il gran numero di scrittori che stanno emergendo nella regione e ha concluso dicendo che “sicuramente il docufilm aiuterà la Basilicata”. Molto emozionato anche il sindaco di Castelmezzano, Nicola Valluzzi: “Per la comunità sono stati giorni di coinvolgimento assoluto” ha raccontato, riferendosi alle riprese del film, e ricordando che la storia “è stata nascosta per anni: della malia dell’amore, del paganesimo non si parlava, ma noi l’abbiamo portata alla luce e abbiamo dimostrato di poter diventare protagonisti della televisione a nostro modo, con la cultura e la tradizione”. Una storia fatta di balli e canzoni, sospesa nel tempo, che nasce da “una rivendicazione di dignità di una cultura e una dichiarazione d’amore per un mondo” fatta da Sammartino sulla scia “della fascinazione per i racconti di mia nonna”. Un insieme di simboli che ha colpito anche il senatore a vita Emilio Colombo, “il più vecchio politico lucano” come si è definito, ricordando la sua rabbia giovanile per come veniva descritta la sua terra e la consapevolezza, scendendo tra la gente, che “sotto le vesti, i panni spesso neri, vi erano delle menti vivide che portavano con sé la grande ricchezza di questa terra, dove magia e filosofia si incontrano. Questo film sutura il passato e il presente”.

giovedì 16 ottobre 2008

Tra passione e indignazione: Dario Fo e Franca Rame in mostra a Roma



Il Papa con l’ombrello, la sposa a testa in giù, i burattini del teatro, gli arlecchini e le dame: un grande girotondo colorato e lì, al centro del palcoscenico ci sono loro, Dario Fo e Franca Rame, re e regina di quel mondo fatato, non distanti, ma immersi nelle pitture tanto da diventarne parte integrante. La mostra “Pupazzi con rabbia e sentimento”, dopo un lungo tour europeo, sbarca a Roma, alla Casa dei Teatri a Villa Doria Pamphilj, per raccontare 54 anni di matrimonio, ma, soprattutto, una vita al servizio dell’arte e del teatro. “Un’esibizione che nasce dall’amore” la definisce Franca Rame, mentre lei e il marito Dario girano per le sale e si soffermano su quadri e costumi di scena con gli occhi di chi li vede per la prima volta, ma con la mente carica di ricordi. Ecco allora il vestito indossato dalla signora Rame nei panni di Isabella, gli autoritratti, “guardate com’ero a vent’anni” dice Fo e anche le raffigurazioni della sua amata fatte dal giovane Dario, “che dediche che mi scriveva! Fatevele scrivere dai vostri morosi!” invita Franca emozionata. Una mostra che ripercorre tutte le tappe del Fo pittore, scenografo, attore, regista, costumista, scrittore e premio Nobel per la letteratura nel 1997. “L’esibizione è ridotta rispetto a quella originale per ragioni di spazio – racconta la curatrice Marina De Juli – quindi abbiamo condensato tutto il percorso concentrandoci sulle opere liriche divise in vari settori. C’è quello dedicato a Franca, quello sulla commedia dell’arte, sui classici e sui tempi moderni”.


Sentimento e rabbia


La signora Rame parla della sua vita con un uomo che “mangia e disegna, vede la tv e disegna, dorme…e si riposa” e subito ci tiene a dire che “Dario non è cosciente di quello che è e di ciò che fa, è molto umile. Sono 54 anni che siamo sposati e io non gli ho mai buttato benzina addosso insieme a un fiammifero! Ho sempre sopportato la sua indifferenza per il lavoro che fa. Eppure – aggiunge – sono oltre quattrocento le compagnie nel mondo che recitano i testi di Dario, un impegno testimoniato dai due milioni di documenti che abbiamo raccolto finora”. Poi tocca a Fo aprire il suo sipario personale e spiegare le sue visioni. Il polivalente artista, però, non si sofferma sul passato, ma parla del presente, perché “il teatro deve essere diretto al tempo in cui si vive, se no muore”. Qui sta anche la spiegazione del titolo della mostra, dove il sentimento è la passione per ciò che si ama e la rabbia “nasce da una presa di coscienza, dall’indignazione. Il più grande disastro del nostro tempo – spiega Fo – è la disinformazione, non come incidente, ma come progetto. La tv taglia i programmi educativi e sposta ciò che è cultura a notte fonda, lasciando le prime serate per spettacoli indegni, contro il senso civile, ottusa dimostrazione di imbecillità corporea, neanche sessuale, che, invece è più rispettabile. Ormai – continua il premio Nobel – la tv è in appalto ai politivi che impongono i propri temi con la chiave dell’ascolto, in modo che più fai programmi vuoti meno problemi crei. Così però fai un servizio pessimo a tutta la nazione e soprattutto ai giovani”.

Tragedie moderne


Fo rivolge poi l’attenzione a un’altra “tragedia”, la crisi finanziaria: “oggi gli esperti parlano di errori, ma perché non dicono la verità? Qui c’è una truffa organizzata da dieci anni e tutti lo sapevano, è stata una rapina a mano armata contro 35 milioni di americani. E ora si scoprono azioni vuote, di carta, anche da noi”. E proprio perché il teatro deve parlare del presente Fo rivela che nel nuovo spettacolo che ha debuttato ieri sera al Teatro Valle di Roma, “Sotto paga! Non si paga!”, si parla proprio “di questo dramma”. Fo elogia anche gli attori, che “non recitano soltanto, credono in quello che raccontano, nella necessità di indignarsi. Bisogna recuperare questo rapporto tra pubblico e palcoscenico, perché lo spettatore deve uscire bestemmiando e riflettendo. Questo fa crescere il teatro”. È proprio ai giovani che va l’ultimo pensiero dei coniugi Fo a quei ragazzi “che hanno coraggio e che soffrono” nelle scuole e nelle compagnie: “Ai miei tempi – dice Dario Fo – c’erano tanti giovani che recitavano e la Dc, pungolata dalla sinistra, aveva l’intelligenza di sostenere le scuole e i teatri. Oggi gli dicono di andare in tv a fare le marchette. L’Italia è la nazione in Europa dove si investe meno in cultura. E adesso tagliano anche la scuola”. In conclusione un ultimo ricordo del passato, con Fo che parla dell’emozione più grande, quando venne chiamato a Parigi a dirigere Molière, “un privilegio mai concesso a uno straniero”, e fu molto apprezzato, tanto che, racconta Franca Rame, “il presidente Mitterand ci scrisse una lettera di elogio”. Fo sorride e chiosa ironico: “Proprio come fanno ora qui tutti i politici”.

martedì 23 settembre 2008

Intervista: "Under the radar", il nuovo album-diario di Daniel Powter / Interview: "Under the radar", the new album-diary of Daniel Powter


Roma, 21 set – Autenticità, verità. Come in un diario, come in una confessione. È questo il sentimento che pervade “Under the radar” il nuovo disco di Daniel Powter, in uscita in questi giorni in Europa e negli Stati Uniti a inizio 2009. Il cantante canadese torna sulla scena musicale dopo una lunga assenza che in molti, però, non hanno avvertito, con quella “Bad Day”, successo interplanetario del 2005, ancora in testa. Powter, però, dice di non voler rimanere legato a quella canzone “che ormai non sento più mia, non ne ho più la proprietà”, per questo ha “messo in gioco tutto” e si è preso il tempo giusto per tornare. E lo fa in grande stile, con un album pieno di canzoni solari che affrontano, però, temi importanti ripercorrendo la vita di Powter. “L’album si apre con la mia canzone preferita – racconta Powter, riferendosi a “Best of me” (il meglio di me) – la prima a cui ho lavorato, in cui dico subito di non essere perfetto, di aver fatto tanti sbagli, ma di essere riuscito a tirarmi fuori anche dal periodo in cui ero dipendente dalla droga”. Schiavo della cocaina per otto anni, Powter è riuscito a liberarsi e a tornare pulito. Proprio questa, dice, è la sua migliore qualità, il suo “best of me” è proprio “il coraggio di non arrendersi, di continuare, di chiedere scusa e di essere umano, ammettendo di essere imperfetto”. Nel disco oltre al pianoforte, strumento che Powter suona fin da bambino, ci sono tante chitarre e anche musica elettronica, cosa che ha stupito il cantautore, ma non Linda Perry, chitarrista, autrice di canzoni, produttrice e artefice dei cambiamenti artistici di Gwen Stefani e Christina Aguilera a cui anche Powter deve molto. “Lei è una donna forte ed energica, mi ha chiesto tantissimo, mi ha svuotato, abbiamo lavorato anche 12 ore al giorno, abbiamo pianto e abbiamo riso insieme. Soprattutto mi ha chiesto di essere vero, di essere me stesso”. Compito in cui Powter è riuscito benissimo, con canzoni come “Am I still the one?”, in cui la lotta contro la droga diventa la ricerca della speranza, in un duetto con la stessa Perry. “È un album in cui ho rischiato molto, non volevo fare delle normali canzoni pop, volevo entrare in contatto con le persone, per questo è stato necessario aprirsi e aspettare tanto dal successo di Bad Day”. Tra le canzoni Powter ama citare “Whole world around”, in cui la musica diventa un sentimento di unità tra i popoli che nonostante le differenze hanno in comune la ricerca dell’amore e di un’eredità da lasciare al mondo C’è poi il tema del viaggio: “Not coming back”, in cui la paura è quella di non tornare indietro. “L’ho scritta pensando di guidare la mia auto, tutto il disco in realtà è bello da ascoltare guidando, è una compagnia che pretende di essere ascoltata con attenzione”. Il viaggio, ma qui si tratta di un ritorno, è protagonista anche di “Next plane home” (il prossimo aereo per casa), in cui Powter vuole tornare a casa dove ha lasciato una persona importante. E adesso che è in Italia vuole tornare a casa? “No, stai scherzando? – risponde ridendo – Non lascerei mai questo posto, amo l’Italia, qui la gente vive meglio, è una vera gioia essere qui, ho tanti bei ricordi di viaggi precedenti e non vedo l’ora di tornare in primavera per riempire l’Italia di musica con i miei concerti”.

lunedì 15 settembre 2008

Dentro, la musica - Reportage da Rock in Rebibbia

Un “canto libero” si alza dalle mura e dalle sbarre, dalle recinzioni e dalle torrette. Dopo ogni cosa è diversa. Per tutti, anche per me che a Rebibbia ci sono stato solo un pomeriggio. Eppure…Non riesco a smettere di pensarci, il cuore non cessa di battere. Tutto così strano. Tutto così normale.

Arrivare dentro

Ho camminato fino alla pesante struttura del carcere, l’immensa costruzione inglobata dalla città, nascosta, ma allo stesso tempo visibile a tutti. L’ingresso è imponente, il viale d’accesso, via Raffaele Majetti, fa impressione per la sua larghezza e l’assenza di automobili, se non quelle della polizia penitenziaria e della volante dei carabinieri che arriva a sirene spiegate. Cammino vicino al muro di cinta non più alto di quello di una villa, vedo spuntare una rete da calcio. Seguo la recinzione fino all’ingresso del Nuovo Complesso. Da qui non si vedono celle o sbarre evidenti, sembra quasi di trovarsi davanti a un luogo come un altro. Controllano il mio nome, prendono il documento e dopo una rapida perquisizione sono dentro. Percorro un piccolo spiazzale da solo, poi, davanti a una grande porta blindata, che intuisco essere la vera entrata, mi aspettano alcune guardie pronte a portarmi nel luogo prestabilito. Sembrano quasi divertite davanti ai miei sguardi che si posano sulle porte di ferro, sui cancelli con le sbarre, sui monitor della sicurezza. Una di loro mi accompagna lungo un corridoio con pieno di trompe l’oeil sulle pareti per simulare rovine romane e di teche piene di reperti trovati durante la realizzazione della prigione. “Come le sembra?” mi chiede il secondino. “Qui quasi bello – rispondo – diverso da come s’immagina”. Sorride: “È quello che fanno vedere alle autorità, il resto non è così…non è male, ma…un po’ differente”. Annuiscono: “Tornerò a vedere il resto, allora” rispondo. Poco dopo sono fuori, in un grande, immenso cortile che per la cura architettonica sembra quasi la piazza di una tranquilla cittadina di provincia, con scale, panchine, vasi pieni di fiori. Davanti alla chiesa, rialzata da pochi scalini c’è una zona dove è stato allestito un palco. Nello spiazzo antistante non c’è ancora nessuno, ma i ragazzi sono già vicino agli strumenti a confabulare. È così che conosco i componenti del gruppo nato grazie al programma di Mtv, Rock in Rebibbia. Detenuti con la passione per la musica che hanno trovato il modo di evadere per qualche ora dalle loro celle. Se appena arrivato sono rimasto un po’ sulle mie è bastato poco a sciogliermi. Li avevo visti in televisione, avevo letto le loro storie, mi ero commosso. Dal vivo è stato più forte, un pugno nello stomaco. Perché la loro simpatia e il loro entusiasmo mi hanno subito coinvolto.

Musica d’evasione

I primi che conosco sono Valentino e Rocco, tastierista e bassista del gruppo, entrambi con indosso la maglietta del September Festival che organizza questo concerto, come molti altri in giro per Roma oggi per ricordare l’attentato dell’undici settembre. Subito mi raccontano la loro passione per la musica, scoperta grazie al programma che per quattro mesi ha portato grandi nomi del pop e del rock a esibirsi con loro, ma, soprattutto, gli ha dato modo di far conoscere le loro storie. “Siamo un po’ fuori forma, qualche accordo salterà di sicuro” dice Valentino, un ventiquattrenne simpatico e un po’ grassottello, coinvolgente con la sua allegria. “È da aprile che i maestri se ne sono andati e abbiamo provato poco – continua –. Ci sono sempre problemi organizzativi, è difficile ritrovarsi. Però vogliamo continuare, anzi, mi piacerebbe portare la band in tournèe. In molti ci apprezzano, ma ci sono stati cantanti che hanno detto: ‘come, noi tanti anni di gavetta e questi, il peggio della società, che si mettono a fare i musicisti su Mtv’. Per fortuna non la pensano tutti così”. Valentino è rumeno, della Transilvania, appena arrivato in Italia è diventato elettricista, poi ha perso il lavoro. Le difficoltà insormontabili l’hanno portato a provare la strada del crimine, ma è stato arrestato prima per truffa senza finire in carcere e poi è arrivata la condanna a tre anni per aver rubato un’auto. Ora ha capito che per il crimine non è proprio portato. “Siamo pronti per questo concerto per la pace” dice Rocco. Capelli brizzolati e pizzetto, un volto quasi cinematografico. Ha trentadue anni, ma sembra più grande, il carcere invecchia e lui qui ha passato dodici anni, dopo un tentativo di furto finito male, con la morte di un maresciallo. Allora era un ragazzo, adesso è un uomo ed è diventato il consigliere di tutti i ragazzi in difficoltà tra le sbarre. È serio e rassicurante allo stesso tempo, ti mette a tuo agio. Parlandoci non penseresti mai che ha ucciso un uomo. La sua storia davvero fa capire come basti pochissimo a cambiare la propria vita e a farsi ritenere un mostro da chi non conosce l’uomo dietro i gesti. Roberto è un chitarrista, 37 anni, capelli un po’ scarmigliati e occhiali, un passato da truffatore professionista, un presente da operatore per un call-center in carcere e studente di giurisprudenza. Per uno preciso come lui stare nel gruppo è stato bello, ma molto faticoso: “È difficile mettere insieme persone così diverse – racconta – perché qui ogni giorno ognuno ha uno stato d’animo. C’è chi è depresso, chi è triste perché ha appena lasciato la figlia e non sa quando la rivedrà. Eppure devi suonare lo stesso. La musica per noi è stato un bel pretesto per stare insieme, per conoscerci, per stare in una comunità. Perché alla fine noi siamo qui perché non abbiamo saputo stare con gli altri”. Col suo cappellino, la fascia la polso e i tatuaggi, tra cui spicca il nome di sua figlia, Matteo è il rapper del gruppo. Non solo, perché con due bacchette in mano riesce a tirare fuori l’anima dalla batteria. La canzone, scritta e rappata da lui, che apre il concerto rivaleggia e batte tutte le denunce dei cantati tanto di moda in Italia adesso. C’è verità nelle sue parole, nel suo grido universale di conquista della propria libertà, la volontà di esprimersi. “Raccontare le nostre storie le decriminalizza – mi spiega – non tutti hanno fatto un reato per il gusto di farlo. La musica è stata una grande esperienza, perché io ho sempre fatto il dj. Ora mi piacerebbe che il laboratorio diventasse permanente, perché alcuni di noi stanno per uscire e il gruppo perderà alcuni componenti”. Presto sarà fuori anche lui, dopo una dura reclusione per narcotraffico, cominciata con l’arresto e la detenzione per due anni in Ecuador.

Un pubblico, un mondo

Mentre parliamo il piazzale si è riempito di gente e il concerto deve cominciare. Insieme a un altro fotografo scendo tra la folla di detenuti per fare una foto da lontano. Non ci è permesso fotografare il carcere, né tanto meno le persone a parte i musicisti, quindi nelle foto sono tutti di spalle. Lì in mezzo mi rendo conto di essere in mezzo a gente comune, di diversa provenienza etnica e sociale, di diversa età, sono tanti i giovani e ci sono anche quelli vecchi, molto, molto vecchi, che ti aspetti di vedere in piazza o in un parco pubblico, non qui. Ci sono africani che ballano, e ci sono anche i transessuali. Vedo facce di persone normali, vestite con abiti di tutti i giorni. In Italia non si usa la divisa e io l’ho sempre trovato un segno di civiltà, anche se per chi non ha niente può essere un problema, ma per questo ci sono le tante associazioni di volontariato. Più tardi incontro anche una volontaria della Comunità di Sant’Egidio per mi racconta di lavorare a Rebibbia da dieci anni. Mi lascio trasportare dalle canzoni, recitate, ancora più che interpretate da Francesco, il cantante del gruppo e dalle sonorità degli altri componenti: solo con il nuovo chitarrista e con Nassik, il percussionista, non ho ancora parlato. Li fotografo mentre spaziano da Vasco Rossi ai Beatles, dai Pink Floyd a Lucio Battisti, e gli arrangiamenti sono quelli che gli hanno insegnati i maestri di Mtv, ma riescono a stupire chi li aveva già ascoltati con nuove sonorità e pezzi inediti. Davanti al palco, tra i detenuti, infatti, ci sono alcune ragazze che hanno partecipato alla produzione e al montaggio di Rock in Rebibbia. Conoscono bene i ragazzi, sono amici e confidenti ormai, e raccontano anche a me com’è stata l’esperienza. “Pesante, intesa, molo bella, ma indescrivibile – dice Lorena che lavora per la Wilder – è stata difficile sia dal punto di vista umano che lavorativo, ha richiesto tanto impegno”. Poi una canzone risuona emblematica: Lucio Battisti con “Il mio canto libero”. Cantata qui, a pochi giorni dall’anniversario della morte del cantautore, assume un significato tutto particolare. Poi, dopo un arrangiamento da brividi di “Another brick in the wall” finisce la prima parte del concerto. I ragazzi di Rock in Rebibbia lasciano il palco ai Four Vegas, gruppo rock anni trenta, che, spaziando dal twist al blues, fanno ballare un po’ tutti. Io ho l’occasione di conoscere qualche altro componente del gruppo. A partire da Francesco, il front-man della band, che veramente si è buttato anima e cuore nel gruppo, nonostante la terribile perdita del fratello qualche giorno dopo l’inizio delle prime prove, un duro colpo, che insieme agli otto anni per concorso in omicidio a causa del coinvolgimento in una rissa in cui è morta una persona, per lui “è la batosta più dura della mia vita e ne ho avute tante. Ma passerà anche questa”. Francesco si è sempre proclamato innocente, si dice rassegnato, ma sul palco tira fuori l’energia per cantare. “Qui si soffre in silenzio” mi dice e poi vuole vedere le foto che ho scattato. Allora arriva anche Nassik, nordafricano, che con i suoi 21 anni è il più giovane del gruppo ed è anche il più taciturno. Arrivato in Italia a sedici anni alla fine è rimasto coinvolto nel giro dello spaccio e in una rapina e il carcere l’ha inghiottito sottraendolo ai suoi familiari che non sanno che è qui. Gli scatto una foto insieme, l’unica posata della serata.

Un gruppo di amici

Poi ci godiamo il concerto e continuiamo a chiacchierare sia con loro che con gli altri del gruppo. In quel momento non c’era differenza tra noi e un gruppo di amici a uno spettacolo. La mia naturale tendenza a stringere subito legami me li ha mostrati subito per quello che erano, persone normali, come si definisce subito Francesco, “anche se molta gente non lo sa o non vuole vederlo”. Non ho pensato a quello che avevano fatto, a dov’erano in quel momento. Solo dopo ho riletto le loro storie per associarle ai visi, alle parole. Ed era molto difficile, perché dove gli altri vedono sentenze di condanna io ho visto persone. Non posso guardare i loro cuori, non posso sapere le loro vere intenzioni, ma lì ho pensato che davvero tutti meritano una seconda possibilità. Mi sono reso conto di che cosa assurda sia il carcere, il pensiero di uomini che tengono imprigionati altri uomini che hanno fatto del male ad altre persone. È terribile nella sua crudezza, nella sua ideazione. Necessario per la società, anche se si vorrebbe che così non fosse. Spesso ci dimentichiamo del patto che ci unisce tutti per creare uno Stato con le sue leggi, dimenticandoci le basi, da dove siamo partiti, e cosa rischiamo se infrangiamo le regole. Del carcere ci si vuole dimenticare, invece dovrebbe essere parte integrante della vita, proprio per trovare un modo di superarlo. Questo concerto sta a dimostrare che un errore non può pregiudicare una vita. Ne è convinto anche il direttore del penitenziario di Rebibbia, Carmelo Cantone, che sulla rieducazione ha basato la vita del carcere. “I ragazzi hanno suonato benissimo – mi dice poco dopo la fine del concerto – ormai Rock in Rebibbia è un marchio di fabbrica. Questa esperienza è importante per dare un senso alla vita in carcere e continuerà insieme ai tanti laboratori che sono già avviati: il teatro e i corsi manuali, quello multimediale e altri. Il programma di Mtv – spiega – è stato molto positivo anche per la società, perché ha mostrato uno spaccato del carcere che ha fatto riflettere molti. Non è facile gestire una comunità così grande, persone così diverse”. Gli dico di essere rimasto colpito da quello che ho visto in cortile: “Sì, ci sono vecchi, ma anche tanti, tanti giovani, questo dispiace, sì, ma è da loro che dobbiamo partire per ricostruire la società”. Il concerto finisce quasi all’improvviso e il senso di vuoto è spiazzante. Il cortile si svuota e i detenuti tornano in cella, la vita del carcere deve riprendere, come sempre. Saluto i ragazzi della band che mi hanno fatto vivere un pomeriggio speciale. Spero di rivederli, di sentire come continuano le loro storie. Per ultimo parlo con Al Bianco, cantante dei Four Vegas che per descrivere l’esperienza non può che usare l’aggettivo preferito del gruppo: entusiasmante. “Cantare davanti a un pubblico così non solo è stato emozionante, ma anche costruttivo. Spero davvero di poterlo rifare”. E i ragazzi di R‘N’R? “Loro sono fantastici! Non potevo credere che quel rap all’inizio l’avessero scritto loro, è davvero incredibile, sono bravi”.

Uscire fuori

Una guardia penitenziaria mi riaccompagna per il lungo corridoio verso l’esterno. La mente e il cuore sono pesanti, i pensieri si aggrovigliano, i sentimenti sono contraddittori. Il prima e il dopo è diverso. Raccontarlo non basta, bisogna viverlo. Cammino nella strada che costeggia le mura. Sento delle voci provenire dal campo di calcio, o forse me le sono immaginate, chissà. Ora ho visto cosa c’è oltre quella barriera. Quel tratto di strada mi sembra enorme, infinito. Mi chiedo come debba essere percorrerlo dopo aver aspettato tanto tempo. Mi sembra un’eternità. Sono fuori e tutto mi pare illuminato da una luce nuova: la gente mi sembra strana, per un momento credo davvero che tutti possano commettere un reato da un momento all’altro. Non vedo differenze. Me ne sto andando a casa tranquillo lasciando tutto quel mondo alle spalle, e domani avrò altre cose da fare e questo pomeriggio sarà un ricordo. Non riesco a essere indifferente, ma dall’altra parte non voglio farmi coinvolgere troppo. Nella testa il rock si mischia con le emozioni. Non mi resta altro che fare come mi hanno chiesto, spedirgli le foto e, ovviamente, raccontare la loro storia.
Foto: (Il gruppo di Rock in Rebibbia; Matteo; Francesco; Rocco; Nassik; I Four Vegas; Francesco e Nassik; il direttore Carmelo Cantone)

lunedì 25 agosto 2008

112.896 fotografie per il mosaico più grande del mondo / 112896 photographes for the biggest mosaic of the world


Addirittura 112.896 fotografie per ricreare l’immagine di un pugile. È il mosaico fotografico più grande al mondo, realizzato grazie alle immagini inviate da migliaia di persone che hanno preso parte al progetto "The big picture" sponsorizzato dall’Arts Council, l’ente britannico per le arti. Il soggetto del collage grande quanto tre campi da tennis, è la fotografia giudicata migliore dai giudici dell’Arts Council e rappresenta il nonno di una ragazza di Tipton, nelle West Midlands, quando nel 1926 faceva il pugile dilettante.
Per esplorare il mosaico: http://mosaic.inthebigpicture.co.uk/

A "Life in Gubbio" reading di Raiz, cantante ecologico / During "LIfe in Gubbio" reading by Raiz, the ecologist singer

“Un tradizionalista moderno”. Così si definisce Raiz, l’ex voce degli Almanegretta, che sarà protagonista di un reading a “Life in Gubbio”. Il festival, che dal 26 al 30 agosto animerà la città umbra con incontri, musica e proiezioni presentati da Paolo Bonolis, ha come tema il senso della vita e il cantante napoletano è chiamato proprio a dare la sua opinione in merito. “Avrò mezzora per dare il mio punto di vista sulle cose – dice Raiz – spero di scatenare risate e qualche riflessione”. Durante l’incontro della sera del 27, l’artista, da lettore vorace quale dice di essere, si farà aiutare da alcuni degli autori a cui è più legato, due su tutti: Pier Paolo Pasolini, “perché ha scritto delle cose molto belle sulla cultura italiana pre-massificazione”, e il rumeno Elie Wiesel, premio Nobel per la pace nel 1986, “per le sue interpretazioni della Bibbia”. Raiz dice di amare gli autori del Novecento e soprattutto quelli “con visioni aperte della vita, che non si fanno influenzare dalle barriere. Le culture si devono confrontare, non scontrare”. Sono questi gli autori che gli hanno ispirato le sue canzoni, mentre dice di non essere ancora pronto per scrivere un libro. “Forse in futuro potrò provarci, ma sono legato alla poesia degli antichi che era comunque affiancata alla musica, la prosa è arrivata dopo”. Qual è, però, il messaggio che il cantante vuole portare al pubblico di Gubbio? “Credo che ci siamo sbagliati a pensare che tutto ciò che ci porta il domani sia migliore dell’oggi – spiega Raiz – il progresso ha schiavizzato l’uomo, facendolo vivere male con il pianeta. Bisogna autoimporsi una austerità, non una vita triste, ma un sano ritorno alla natura. L’uomo ha bisogno di acqua pulita, cibo pulito, aria pulita. Per vivere bene – continua Raiz – dobbiamo apprezzare le cose semplici, cambiando i nostri confini culturali”. Un ritorno al passato che non può non far tornare il cantante alla sua infanzia e alla figura di sua nonna, che “anche se non parlava italiano, aveva una solida cultura”. Un tradizionalista moderno, dunque, ma non legato al passato in maniera cieca, quanto a un tradizionalismo sostenibile, ecologico. “I nostri figli non possono vivere in un mondo sporco – conclude Raiz –. Io sono cresciuto in mezzo ai campi e sono felice”.

venerdì 22 agosto 2008

A "Life in Gubbio" un documentario sui barboni / During "Life in Gubbio" a documentary on clochards


Un film che “cambia la vita, il modo di guardare le cose”. Così Cristina Mantis descrive “Il carnevale di Dolores”, il suo documentario sui senza fissa dimora già vincitore del “Tek festival” di Roma e ora in programmazione a “Life in Gubbio”. Dal 26 al 30 agosto la città umbra si riempirà di eventi dedicati alla vita, presentati da Paolo Bonolis. “Sono felice di essere in un festival incentrato sul sociale, di grande qualità – dice Mantis –. Il mio documentario è nella sezione ‘Vite degne di nota’, questo mi conforta, perché i protagonisti del film sono di certo degni di nota”. “Il carnevale di Dolores”, in programmazione il 27 agosto alle 16, ruota intorno al problema dei senza fissa dimora attraverso gli sforzi di Giuseppina Colucelli, detta Dolores, per trovare una casa. La regista l’ha seguita per sei anni, tra pensioni scalcinate e in mezzo alla strada, tra caro affitti e difficoltà burocratiche. Coprotagonisti Marcello Sediani, “il barbone che vuole la casa”, e Evio Botta, il sindaco dei senza tetto. Quello che all’inizio era solo un interessamento è diventato il progetto di un documentario. “Il film è nato per caso – racconta la regista – mi ha colpito questa donna con le sue bolle a carnevale, mi ha colpito la sua dignità, la sua ricerca disperata. Oggi, dopo sette anni il problema abitativo non è ancora risolto – continua Mantis – c’è ancora carenza di strutture. La situazione non si risolve certo con coperte e panini, né con i dormitori. L’unica soluzione sarebbe quella di case famiglia, magari anche autogestite da barboni, dove ognuno abbia una sua stanza. Per una persona che ha conosciuto la miseria andare in un dormitorio significa venir privato anche della poca dignità che gli è rimasta. Nelle case famiglia si può trovare aiuto per superare i traumi e la depressione che fanno finire in strada”. Una storia, quella di questi barboni, che coinvolge il pubblico, ma soprattutto chi il documentario l’ha girato: “La buona regola impone di essere distaccati quando si raccontano queste vicende – spiega la regista – io ho cercato di esserlo nel montaggio, ma prima è stato difficile. È una storia che ti cambia la vita, ti fa prendere coscienza, ti entra dentro. Ci vuole sensibilità, e ha chiesto il suo prezzo: mi è costata molta solitudine”. L’auspicio della regista è che questo documentario faccia aprire gli occhi a chi lo guarda: “Vorrei tanto che gli spettatori vedessero i barboni in modo differente. A tutti è possibile finire così, tutti i senza tetto erano persone normali che non pensavano di perdere tutto. Basta un trauma, una depressione che può colpire chiunque. La cosa più bella – conclude la regista – sarebbe che la gente avesse vera attenzione e non solo quel rifiuto che purtroppo nasce spontaneo”.

giovedì 31 luglio 2008

Mangiatori di bambini: "Animanera", film di Verzillo / Children Eater: "Animanera, movie by Verzillo

Sono 600 i bambini vittime di pedofilia lo scorso anno in Italia, 100mila i potenziali pedofili, mentre l’introito medio di un sito pedopornografico è di 90mila euro. È da queste cifre che parte “animanera”, film autoprodotto per la regia di Raffaele Verzillo, presentato oggi a Roma. Realizzata nel 2006, solo adesso la pellicola ha trovato un canale di distribuzione attraverso la Medusa Film, per portare in tutte le sale d’Italia il grande problema dei pedofili, anzi dei pedofagi, come li definisce il regista perché “queste persone mangiano davvero l’anima dei bambini. Questo è il male assoluto”. Il film parla di un uomo dall’aspetto distinto, rispettabile, che, però, ha un’attrazione morbosa per i bambini, tanto da arrivare a rapirli per stuprarli e ucciderli in un gabbia da film horror, nascosta in un, all’apparenza innocente, garage. Poi gli succede di innamorarsi di un bambino speciale, che riesce a resistergli e a fargli cambiare modalità di agire, un errore che, con un piccolo aiuto della fortuna, porterà il poliziotto e la psichiatra sulle sue tracce a fermarlo. Il film è stato finanziato da imprenditori privati che, insieme alla maggior parte del cast artistico e tecnico, hanno rinunciato ai propri compensi in cambio di una partecipazione agli eventuali utili della distribuzione del prodotto. “Animanera” ha anche vinto premi e riconoscimenti in molti festival e ha ottenuto importanti sponsorizzazioni da molte associazioni, prima di tutte la Croce Rossa italiana. “Questo film mostra come la differenza tra una persona normale e una patologica è molto più labile di quanto si crede e questo ci fa riflettere” ha detto Massimo Barra, presidente dell’organizzazione sanitaria. Durante la proiezione del film nelle varie sale italiane sarà possibile trovare gli stand di tutte le associazioni che hanno partecipato. Domenico Fortunato, che nel film interpreta un magistrato che lavora al caso del pedofilo killer, ha invitato a prestare più attenzione a chi si batte in Italia contro questo fenomeno: “Si devono dare risorse a questi uomini che ne hanno bisogno, fanno un lavoro scuro, lontano dai riflettori”. Il regista Raffaele Verzillo ha anche sottolineato il lavoro svolto con i bambini e soprattutto con il giovane protagonista, Luigi Santoro: “Abbiamo fatto molte prove con lui, abbiamo giocato e l’aiuto dei genitori è stato prezioso. Soprattutto, però, ho trovato un attore meraviglioso”. Ed è proprio il bambino ad avere l’ultima parola: “Non ho avuto problemi a fare questo film – ha detto – non sapevo di cosa si trattasse davvero, non mi sembrava un film brutto all’inizio, poi ho visto certe scene e mi sono reso conto”. Il film è stato vietato ai minori di quattordici anni, quelli che più di tutti avrebbero potuto identificarsi. “Il divieto è sacrosanto – dice Verzillo – se i genitori vogliono far vedere questo film ai figli glielo spieghino passo per passo”. Sono proprio loro, i grandi, infatti, a dover tenere sempre a mente un insegnamento prezioso: non fare come i genitori del film, stare vicini ai propri bambini, perché i pedofili puntano a conquistare i bambini lasciati soli e senza affetto.

giovedì 3 luglio 2008

Attendere l'arte: "Sala d'Attesa" alla Sala Uno / Waiting for Art: "Waiting room" in Sala Uno


Attesa, attesa, attesa...Quanto tempo della nostra vita passiamo ad attendere cose che forse non arriveranno mai? Si tratta del tema di una mostra particolare che si svolge in questi giorni presso la Sala Uno, a Roma, nei pressi di San Giovanni, traformata per l'appunto, in una Sala d'Attesa.
Dieci gli artisti presenti (Agnieszka Blazy, Joanna Ganczarek, Isabella De Chiara, Cristiana Fasano, Eduardo Herrera, Daniela Masala, Adriano Petrucci, Serena Santamaria, Alessandro Vizzini, Simone Zaccarella), dieci ragazzi che hanno appena terminato gli studi all'accademia di belle arti di Roma e sono pronti a confrontarsi con mezzi espressivi diversi da quelli canonici. Ecco dunque scultori alle prese con video e istallazioni acustiche o pittori che creano oggetti dalle forme eteree. Lo spazio viene trasformato da una lunga linea gialla, opera di Agnieszka Blazy e Joanna Ganczarek, che simbolegga l'attesa dei passeggeri nelle stazioni. Le opere sono collegate da corde, avvolte al corpo di Cristiana Fasano, scenografa che si ritrova attrice in una performance che trasfigura l'ambiente, portando gli spettatori ad attendere il proprio turno per recarsi da un'opera all'altra. Adriano Petrucci propone un contenitore di tempo: un grande barattolo che contiene i bigliettini col numero che si usano per fare la fila al supermercato, firmati da chi li aveva presi. Tra istallazioni di scarpe e suoni, tra poesie nel vetro e sedie con video lo spettatore non sa più cosa attendere, e l'attesa, per una volta, diventa incredibilmente dolce.
Roma - dal 20 giugno al 5 luglio 2008
Sala d'Attesa
SALA 1
Piazza Di Porta San Giovanni 10 (00185)
+39 067008691 (info), +39 067008691 (fax)
salauno@salauno.com
www.salauno.com
Waiting, waiting, waiting...How much time of our life is spent waiting for things that maybe will never arrive? That's the time of a curious exhibition set in these days in Sala Uno, in Rome, near San Giovanni, transformed for this reason in "Sala D'Attesa" (waiting room). The artists involved are ten (Agnieszka Blazy, Joanna Ganczarek, Isabella De Chiara, Cristiana Fasano, Eduardo Herrera, Daniela Masala, Adriano Petrucci, Serena Santamaria, Alessandro Vizzini, Simone Zaccarella), ten youths that have just finished the studies in the Accademy of Fine Arts and now are ready to face new expressive tools, different from the usual one. That's why we see scupltors making videos and acustic operas, or painters making soft objects. The space is transformed by a long yellow line, by Agnieszka Blazy e Joanna Ganczarek, rappresenting the waiting of passengers in the stations. The pieces are connected by ropes, tied to the body of Cristiana Fasano, a scenographer who become actress in a performance that change the atmosphere, bringing the audience to wait in order to go from a opera to another. Adriano Petrucci proposes a time capsule: a big glass box full of numbers used in supermarkets, signed by the people that used it. Between shoes and sounds, glass poetry and video chairs, the viewer don't know what's next, and the waiting, for this time, become incredibly sweet.

venerdì 18 aprile 2008

Musei on the road - Graffiti lucani / Museum on the road - Graffiti from Basilicata

“Un graffito è dettato dall’ispirazione del momento. Serve a esprimersi, a lanciare un messaggio alla società. Non è questione di apparire, ma serve per dire io ci sono”. Cappellino da baseball, vestiti larghi e un quaderno pieno di poesie e disegni. Il giovane lucano che mi racconta il mondo dei “writer” potrebbe sembrare un teppistello agli occhi di chi non sa leggere le sue idee. Anche se c’è chi presenta in Parlamento provvedimenti per sbatterli in carcere, oggi i graffitari sono entrati ufficialmente nel mondo dell’arte. “Ogni writer sceglie una tag, un nome diverso da quello imposto dai genitori - racconta il ragazzo, che non rivela, però, la sua tag –. Non voglio che sia associata a me o che sia scritta da altri. È una cosa solo mia”. Anche se considera i graffiti delle vere forme d’arte, il giovane writer lucano invita al rispetto: “Sono contrario a dipingere proprietà private o monumenti. Anche l’architettura è arte e non è giusto imbrattarla. Però i luoghi pubblici sono perfetti per un graffito”. E circa le sanzioni ha un’idea ben precisa: “L’oppressione è sempre sbagliata. Sarebbe meglio dare degli spazi dove ci si possa esprimere liberamente”.
Il Comune di Potenza già da quattro anni è all’avanguardia in questo campo: esiste un regolamento per la “spray-art”. “Chi vuole fare un graffito può chiedere un tesserino al Comune – racconta Giancarlo Grano, dirigente del dipartimento ambiente – poi bisogna inviare la foto del luogo dove si vuole disegnare e un bozzetto. Qualsiasi superficie in cemento armato è adatta”. Oltre 120 tesserini sono stati assegnati, perché, come dice Grano, “è meglio disciplinare che reprimere”, riconoscendo il valore dei graffiti.
Dario Carmentano, artista materano che lavora con icone e parole di impatto sociale, nei musei c’è entrato, e non ha dubbi a definire i graffiti come “una forma d’arte ormai consolidata”. In un mondo in cui le modalità espressive sono sempre più trasversali “invadere gli spazi non istituzionali di una città è un’esigenza legittima – dice Carmentano –. Certo, disturba, perciò bisognerebbe censire gli spazi da rendere disponibili, lasciando comunque un margine di libertà”. L’artista evidenzia anche la necessità di trasformare il vecchio mondo culturale: “L’arte cambia, cerca nuovi linguaggi. Può sembrare provocazione, invece, è denuncia della realtà vera. I musei – continua Carmentano – sono istituzioni troppo statiche, non rispondono alle esigenze di comunicazione dell’arte contemporanea che si esprime in modo occulto, indiretto, senza che a volte rimanga traccia dell’opera in sé”. I graffiti sono espressione della fugacità dell’arte, che resta su un muro, ma viene presto ricoperta o cancellata dalle intemperie, vivendo, però, nella forza del gesto di chi ha voluto raccontare tutto il mondo che ha dentro. E le città sono eterne gallerie a cielo aperto.

domenica 30 marzo 2008

Mostre a Roma 2: Ottocento e Renoir / Exhibition in Rome 2: XIX century and Renoir


Chi non ama il Novecento? Le avanguardie, le trasformazioni, la tecnologia, l’informatica…mai l’arte è cambiata quanto in questo secolo. Eppure non è possibile comprendere la ricchezza di quegli anni senza guardare alle basi su cui sono nate: quelle prime gocce di rivoluzione sgorgate nell’Ottocento. Mai una mostra aveva indagato tanto bene su questo secolo come quella in corso alle Scuderie del Quirinale. Un’esposizione interessante, sia per l’allestimento che per le opere esposte. Le luci creano splendide ombre sui corpi dei “Pugilatori” di Canova con lo sfondo del “Quarto Stato” di Pelizza da Volpedo: un accostamento originale e di sicuro impatto per chi comincia il percorso. Il grande protagonista della mostra, però, è Francesco Hayez, presente non solo con lo splendido “Bacio”, ma anche, tra gli altri, col magnifico “Pensiero malinconico” (nella foto), dove gli occhi tristi di una donna emozionano profondamente, e “Venere che scherza con due colombe”. Man mano che si procede nella mostra si vede come gli stili classici vengano abbandonati, e i soggetti cambino, diventando più bui, come il tenebroso “Asfissia” di Angelo Morbelli, scena del suicidio di due amanti. Cupi presagi di un secolo, il Novecento, dove l’uomo ha saputo mostrare la sua parte più luminosa, ma anche l’oscuro abisso della sua anima.

Paesaggi dai colori così chiari che quasi scompaiono sulla tela, ritratti delicatissimi, nature morte classiche. La mostra in corso al Vittoriano dedicata a Renoir espone varie opere del pittore francese, senza portare in scena, però, alcun grande pezzo. Ricalcata su quelle che hanno riempito in precedenza la struttura è prevedibile e quasi stucchevole in alcuni punti. Un allestimento scarno e sonnacchioso non riesce a dare quel qualcosa in più allo spettatore, una tendenza che, purtroppo, contraddistingue le mostre del Vittoriano, che puntano tutto sui grandi nomi, senza offrire effettivamente belle opere e bei contorni. Quasi in contrapposizione con le altre mostre presenti nella Capitale, qui il classicismo appena stemperato da punte di impressionismo di Renoir non riesce a emozionare fino in fondo. Ciò che resta è una frase dell’artista: “Il problema con l’Italia è che è troppo bella. Perché preoccuparsi di dipingere quando si ricava un tale piacere semplicemente guardandosi intorno?”. Sembra quasi un invito a lasciar perdere e a farsi una passeggiata per Roma. Peccato che piova.

Mostre a Roma 1: Velocità e Cina / Exhibitions in Rome 1: Speed and China

Sfrecciare tra le stelle a bordo di una Ferrari, scoprire la vitalità degli artisti cinesi, rilassarsi con colori dolci, stupirsi della forza del secolo che prepara il Novecento. Roma in questi giorni offre grandi mostre agli assetati di arte.


Al rinnovato Palazzo delle Esposizioni si indaga il rapporto tra arte e velocità, un binomio che subito richiama il futurismo, presente con opere di Marinetti, Depero, Gambini, ma anche i motori. Si possono ammirare, infatti, automobili da corsa che hanno fanno la storia dello sport, come la Ferrari 2003 con cui Micheal Schumacher ha vinto il Mondiale, aeroplani, riproduzioni di treni. C’è anche la moda, dai panciotti futuristi di Depero alle creazioni all’insegna di vertigini e spirali di Valentino, c’e l’arte cinetica, c’è il cinema, c’è la scienza, con la spiegazione di come funzionano gli acceleratori di particelle. Un ottimo allestimento per una mostra davvero interessante. Una panoramica sul mondo dell’arte che stordisce lo spettatore, trasportandolo a velocità sorprendenti, attraverso lo spazio e il tempo, nel cuore dell’ingegno umano.

Il secondo piano del palazzo delle esposizioni è cinese. Niente fasti imperiali, né falsi da vendere per strada, ma il meglio dell’arte cinese contemporanea, in rottura con il classicismo. Una mostra interessante, anche se ci si aspettava qualcosa di più. Al di là della spettacolare opera di Liu Xiaodong (nella foto) realizzata proprio per la mostra e delle foto monumentali di Wang Qingsong. Le opere esposte non saziano del tutto l’appetito, forse perché da profani del panorama contemporaneo cinese ci si aspettava qualcosa di meno occidentale…

mercoledì 12 marzo 2008

Kipasso: il pittore sonnambulo / Kipasso: the sleepwalking painter


La storia ricorda un po' quella di un personaggio del serial Heroes, il pittore Isaac Mendez che dipingeva il futuro quando cadeva in trance. Il gallese Lee Hadwin, detto Kipasso, invece, è capace di creare opere d'arte soltanto durante gli attacchi di sonnambulismo che lo perseguitano da quando ha quattro anni. Da sveglio, invece, non solo non riesce a disegnare, ma non gli interessa neppure! Un caso unico, secondo gli scienziati, una burla, invece, per altri. Intanto un collezionista ha acquistato alcune opere per 6.500 euro.




The story reminds the one of a character of the serial Heroes, the painter Isaac Mendez who painted the future while he was in trance. The Welsch Lee Hadwin, called Kipasso, can create art works only while he is sleepwalking (a think that is affecting him since when he was four years old). When he is awake, however, he not only can't draw, but he is not interested in art at all! An unique case, according to scientist, a trick, instead, for others. In the meantime a collector bought some works for 6.500 euros.



venerdì 7 marzo 2008

Un Van Gogh di sushi! / A Van Gogh made of sushi!

Mangiare sushi per me è davvero nutrirsi d'arte...poi quando l'arte diventa sushi, beh, allora non rimane che armarsi di bacchette e assaggiare una delle creazioni del maestro Kawasumi, come questo Van Gogh o i simpaticissimi maki!
Eat sushi for me is feed myself with art...then when art becomes sushi, well, the only think to do is take the chopsticks and taste one of the creation of master Kawasumi, like this Van Gogh or the funny maki!








mercoledì 5 marzo 2008

L'Escher incompiuto è completato: sorpresa al Festival della Matematica / The incomplete Escher is completed: surprise at the Mathematics Festival



Cosa c'è dietro le sinfonie casuali di colori dei quadri di Pollock? Numeri, risponderebbe un matematico. L'arte è uno dei protagonisti del Festival della Matematica che comincerà a Roma il 13 marzo. Uno dei pittori di numeri che interverrà è David Mumford, famossissimo professore di matematica della Brown University che sulla relazione tra la sua materia e l'arte dice: "Ci sono straordinari parallelismi tra l'una e l'altra: entrambe si sono innamorate dell'astratto". Altra sorpresa sarà "Raggiungere l'irraggiungibile", un film sul pittore olandese Maurits Escher, il grande artista famoso per le sue costruzioni impossibili. Nel film il dipinto "Galleria di Stampe", rimasto incompleto perché ritenuto troppo complicato da Escher, viene finito grazie a un calcolo matematico e il mondo diventa un universo alla Escher. Un modo per riavvicinare tante persone all'incredibile mondo dei numeri.

What's beyond the casual symphonies of colours of Pollock paintings? Numbers, will answer a mathematician. Art is one of the protagonist of the Mathematics Festival that will start in Rome the 13 of March. One of the painter of numbers who will take part is David Mumford, the really famous professor of mathematics from Brown University who on the relationship between his subject and art: "There are extraordinary parallelism between one and the other: both felt in love with abstract". Another surprise will be "Reach the unreachble", a movie on the Dutch painter Maurits Escher, the great artist famous because of his impossible constructions . In the movie the paint "Gallery of prints", incomplete because thought too complicated by Escher, is finished thanks to a mathematical computation and the world becomes a Escher universe. A way to make people get in touch with the incredible world of numbers.

martedì 4 marzo 2008

Il National Geographic alla ricerca della "Battaglia di Anghiari" / National Geographic searching for the "Anghiari battle"


È una delle più famose opere d’arte scomparsa: la “Battaglia di Anghiari”, l’affresco perduto di Leonardo da Vinci, da anni oggetto di migliaia di studi. Adesso il progetto di ricerca avviato nell'ottobre scorso dal ministro per i Beni culturali, Francesco Rutelli, si avvarrà della collaborazione della National Geographic Society grazie a un accordo quinquennale siglato con il Comune di Firenze. L’importante partner non solo offrirà sostegno finanziario, ma anche la possibilità di divulgare e raccontare passo per passo le varie tappe delle indagini grazie alla realizzazione di un film, di un ciclo di documentari da trasmettere in tv, video e anche una mostra itinerante tra l'Europa e gli Usa. Ora che sono molti i detective sulle sue tracce, forse finalmente l’affresco salterà fuori, magari dalla parete del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, dietro una intercapedine e sotto un successivo affresco del Vasari, dove gli studiosi pensano si sia nascosto.


It is one of the most famous disappeared art work: the "Anghiari battle", the lost fresco by Leonardo da Vinci, for years subject of thousands of studies. Now the research project started in last october by the Minister of Cultural heritage, Francesco Rutelli, will have the collaboration of the National Geographic Society, thanks to a five-years agreement with the city of Florence. The important partner will non only give finantial aids but also the possibility to fallow the various steps of the researches thanks to the realization of a movie, a series of documentaries to show on tv, videos and also an intinerary exhibition between Europe and the Usa. Now that many detectives are on its tracks, maybe the fresco will finally come out, even from the wall of the "Salone dei Cinquecento" of "Palazzo Vecchio" in Florence, beside a interstice and a fresco by Vasari, where the scholars think it is hidden.

domenica 2 marzo 2008

Jan Dix, l'eroe del fumetto è un critico d'arte / Jan Dix, the comic's hero is an Art Critique

C'era il detective dell'incubo (Dylan Dog), quello degli enigmi (Martin Mystere) e quello futuristico (Nathan Never), ma in casa Bonelli mancava l'indagatore dell'arte. Da maggio, però, un nuovo arrivato andrà a colmare il vuoto: si tratta di Jan Dix, critico d'arte olandese, protagonista della nuova miniserie bimastrale in quattordici numeri ideata da Carlo Ambrosini per Sergio Bonelli editore. Il primo albo "Morte di un pittore" si svolgerà in Ungheria seguendo un giovane pittore affascinato da Vermeer. Nel secondo episodio "La stanza dei giaguari" un fantasmatico felino semina morte tra le strade di Amsterdam, mentre nel terzo Jan Dix rimarrà imprigionato in una "Camera delle meraviglie" piena di reperti dell'ingegno umano e legata a un serial killer. Una miniserie che sembra interessante, anche se, dopo la stretta continuity di Volto Nascosto, si torna a episodi quasi del tutto scollegati tra di loro.

Alcune tavole su Comicus: http://www.comicus.it/view.php?section=anteprime&id=442

There was the nightmare detective (Dylan Dog), the mystery one (Martin Mystere) and the futuristic one (Nathan Never), but in Bonelli publishing house the art investigator was missing. From May, however, a new charather is come to take this place: it's Jan Dix, an art critique from the Netherlands, protagonist of the new bimonthly miniseries of forteen episodes created by Carlo Ambrosini for Sergio Bonelli editore. The first number "Death of a painter" will be set in Hungary feauting a joung painter fascineted by Vermeer. In the second one "The jaguars' room" a ghost feline leaves death in the streets od Amsterdam, while in the third episode Jan Dix will be trapped in a "Wonder's chamber" full of human machines and related with a serial killer. An interesting miniseries, but after the strong continuity of Volto Nascosto, the episodes here are disconnected each other.

venerdì 29 febbraio 2008

Il segreto del blu dei Maya/ The secret of the Maya's blue


Ci sono colori che caratterizzano un'intera civiltà, e il blu, più di tutti, ha accompagnato nei secoli il cammino dell'uomo. Per i Maya il blu era uno dei colori più importanti, legato ai sacrifici umani e al divino. Per molti anni gli scienziati si sono chiesti come venisse realizzato quel particolare colore resistente al tempo e agli acidi, che è stato definito una delle grandi conquiste artistiche e tecnologiche della Mesoamerica. Ora uno studio ha rivelato la verità: il blu Maya è il risultato di una combinazione di indaco, copale e argilla fusi a caldo. Un colore bello e terribile: l'ultimo che vedevano le vittime sacrificali prima che gli venisse strappato il cuore...




There are colours that identify an entire civilization, and blue, most of all, in centuries is tied to the progress of human kind. For Maya the blue was one of the most important colours, connected to the human sacrifaces and to the divine. For many years scientists were trying to understand how that particular colour resistant to time and acids was produced, a process defined as one of the greatest artistic and technological conquers of Mesoamerica. Now a study revealed the truth: the Maya blue is the result of a combination of indigo, copal and clay fused with fire. A Beautiful and terrible colour: the last one saw by the victims of sacrifaces before their earth were rip out...



sabato 23 febbraio 2008

Critica d'arte sviene a causa della sindrome di Stendhal / Art critique faint because of the Stendhal Syndrome



L'arte emoziona, ma quando l'emozione è troppo forte allora ecco che arriva la Sindrome di Stendhal. Questo è ciò che è accaduto a Francesca Fraticelli, storica dell'arte e addetta ai beni culturali della Provincia di Chieti, che ieri davanti all'originale della "Venere e Adone" del Canova, ospitata alla Bit di Milano, è svenuta. L'assessore al turismo del Veneto, Luca Zaia, le ha donato la medaglia commemorativa, realizzata per i 250 anni dalla nascita del grande scultore. «C'è chi l'arte la vede, chi la sente» ha commentato. Io non sono mai svenuto davanti a un'opera d'arte, ma ci sono state volte in cui ci sono andato vicino: non dimenticherò mai il tripudio di opere bellissime alla mostra a Venezia per i cento anni di Salvador Dalì...

Art emotion, but when the emotion is too strong then there is the Stendhal Syndrome. That's what happened to Francesca Fraticelli, art history scholar and responsible for cultural heritage of Chieti, who yesterday fainted facing the original of "Venus and Adone" by Canova, hosted in the Bit of Milan. The turism assessor of Veneto, Luca Zaia, gave her a commemorative medal for the 250 anniversary of the sculptor. "There is who see the art, and who feel the art" she said. I've never fainted facing an art work, but sometimes I was near to do that: I will never forget the triumph of magnificent operas in the exhibition in Venice for the 100 anniversary of Salvador Dalì...

venerdì 22 febbraio 2008

Termini congelata / Frozen Termini

Tutti congelati alla Stazione Termini a Roma per una Ice Action! Un vero happening artistico metropolitano! Così l'Arte scende in mezzo alla gente, spezzando la routine di ogni giorno, dove non c'è più spazio per l'immobilità, il silenzio e la riflessione.

http://frozentermini.blogspot.com/

Everyone frozen in Termini station in Rome for an Ice Action! A real metropolitan artistic happening! That's how Art goes around the people, crashing the daily routine, where there is no space for no-action, silence and reflection.

martedì 19 febbraio 2008

Ritrovati due dei dipinti impressionisti rubati / Found two of the stolen impressionst paintings


La polizia svizzera ha detto di aver ritrovato due dei quattro capolavori rubati dal museo della Collezione Buehrle di Zurigo la settimana scorsa. I dipinti «Campo di papaveri a Vetheuil» di Claude Monet e «Ramo di castagno in fiore» di Vincent van Gogh sono stati trovati ieri dalla polizia in una vettura bianca lasciata in un parcheggio della clinica psichiatrica Burgholzli, a circa 500 metri dal luogo della rapina. I quadri ancora mancanti sono «Ludovic Lepic e le sue figlie» di Edgar Degas e «Il ragazzo con il panciotto rosso» di Paul Cezanne. Il valore complessivo dei quattro quadri è di oltre 110 milioni di euro. La polizia non ha, però, traccia dei tre ladri.

The swiss police says it found two of the four masterpieces stolen from the museum of the Buehrle Collection of Zurich last week. The paint "Poppy field at Vetheuil" by Claude Monet and van Gogh's "Blooming Chestnut Branches" were discovered by the police in a white car in a parking lot in front of the Burgholzli mental hospital yesterday, around 500 metres from the robbery place. Painting still missing are "Ludovic Lepic and his Daughter" by Edgar Degas and "The Boy in the Red Vest" by Paul Cezanne. The complessive amount of the four paintings is above 110 millions of euro. The police, however, still don't have news about the thieves.

http://www.baltimoresun.com/news/world/bal-paintings0219,0,5925885.story

Una giraffa plastinata per Gunther von Hagens / A plastinated giraffe for Gunther von Hagens

C'è arte e arte, quella più classica e quella più provocatoria. Il controverso artista -anatomopatologo tedesco, Gunther von Hagens, appartiene di certo alla seconda categoria. Famoso per le sue mostre di cadaveri "imbalsamati", si consola con le giraffe dopo il fallito tentativo di vendere anche ai privati sezioni di corpi umani trattate con il suo speciale procedimento brevettato di "plastinazione". Von Hagens, ha scritto in questi giorni il quotidiano popolare tedesco Bild, sta infatti preparando una giraffa e due elefanti che verranno trattati per essere esposti nello zoo di Neunkirchen (Germania sud-occidentale). «Il corpo della giraffa viene indurito e tagliato a fette con il nostro metodo speciale - ha detto Von Hagens al quotidiano -. Sono fiero di questa performance. Questi animali offriranno un bello spettacolo, si potranno vedere tutti i loro organi, nei più piccoli particolari, e anche per i veterinari sarà un'esperienza completamente nuova». Non so cosa ne pensiate voi, ma leggere questa notizia ha fatto vacillare la mia apertissima concezione di arte. Il ribrezzo ha avuto la meglio.

There is art and art, the one more classic and the one more provocative. The controversial German artist-anatomopathologyst, Gunther von Hagens, definetely belong to the second category. Famous for his exhibition of "emblamed" cadavers, console himself with giraffes after his failed tentative to sell also to privates sections of human body treated with his special patented process called "plastination". Von Hagens, says in these days the popolar German newpaper Bild, is, in fact, preparing a giraffe and two elephants that will be treated to be exposed in the zoo of Neunkirchen (South-west German). "The body of the giraffe get hardened and cut in slices with our special process - said Von Hagens to the newspaper -. I'm proud of this performance. These animals will offer a great show, it will be possible to see all their organs, in the smallest details, and also for veterinaries will be a completly new experience". I don't know what you think, but read this news really make jiggle my open conception of art. The disgust was stronger.

lunedì 18 febbraio 2008

Spiral Jetty in pericolo / Spiral Jetty in danger


Spiral Jetty, il "molo a spirale" che si estende nel Grande Lago salato dello Utah , l'opera più famosa di Robert Smithson e capolavoro della Land Art americana è in pericolo. Una società petrolifera canadese, Pearl Montana Exploration and Production, sta per trivellare da alcune piattaforme nei pressi di Rozel Point, ai margini del lago: la spirale potrebbe subire danni irreparabili per le vibrazioni delle trivelle. Un gruppo di artisti e la Dia Foundation for the Arts di New York si sono mobilitati per salvare Spiral Jetty.









Spiral Jetty, the "spiral dock" that goes in the Great Salt Lake of Utah, the most famous work of Robert Smithson and the masterpiece of american Land Art is in danger. A Canadian oil-bearing society, Pearl Montana Exploration and Production, is going to dig from some paltforms near Rozel Point, at the margins pf the lake: the spiral can be hard damaged by the vibrations of the drills. A group of artists and the Dia Foundation for the Arts located in New York moved to save Spiral Jetty

mercoledì 13 febbraio 2008

Un'ora e quarantacinque minuti di silenzio / An hour and forttfive minutes of silence

Chi ha la fortuna di essere a Londra in questi giorni può regalarsi un'ora e quarantacinque minuti di silenzio. Basta andare al National Theatre a guardare "The Hour We Knew Nothing of Each Other" (L'ora in cui non sapevamo niente l'uno dell'altro) di Peter Handke. Durante lo spettacolo sfilano sul palco 450 personaggi interpretati da 27 attori. "Teatro diluito nella sua essenza di guardare gli altri", secondo il regista. Un'idea che mi sembra splendida, perché porta sul palcoscenico le nostre esperienze quotidiane, ci insegna a ascoltare il silenzio e, soprattutto, a osservare gli altri. A volte le parole non servono e bastano gli occhi a vivere la magia del teatro.

http://www.nationaltheatre.org.uk/thehour

http://www.youtube.com/watch?v=oSQzIViLzvE

Who is lucky being in London in these days can take for himself an hour and fortyfive minutes of silence. It can be interesting to go to the National Theatre to watch "The Hour We Knew Nothing of Each Other" di Peter Handke. During the performance on the stage there are 450 characters played by 27 actors. "Thatre dilutes in the essence of watching the others", according to the director. An idea who seems splendid to me, because it takes on the stage our daily experienxes, that teach to listen to the silence and, most of all, to watch to the others. Sometimes we don't need words, eyes are enough to live the magic of theatre.

lunedì 11 febbraio 2008

Fottuti ladri / Fucking thieves

Ci sono poche notizie che hanno il potere di farmi arrabbiare tanto quanto questa:

Svizzera: rubati importanti dipinti di impressionisti

ZURIGO - Diversi quadri di pittori impressionisti come Cezanne, Degas, Van Gogh e Monet sono stati rubati ieri da un museo di Zurigo. Lo ha annunciato la polizia locale precisando che il valore delle opere si aggira sui 100 milioni di franchi (circa 66 milioni di euro). (Agr)

Io davvero non sopporto questi ladri che si accaniscono sulle opere d'arte, ci sono molti altri modi per fare una bella rapina danarosa: potevano svaligiare una delle tante banche svizzere e invece no, rubano quadri. Chiunque possieda un'opera d'arte ha una responsabilità verso tutto il mondo, perché ogni singolo quadro o scultura, ecc, è parte del patrimonio culturale di tutti noi. Commissionare un furto, o rubare un'opera d'arte, è un crimine verso l'umanità!

http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/zurigo-furto-quadri/zurigo-furto-quadri.html

There are not many news that can make me angry like this one:

Switzerland, important impressionist paintings stolen

Zurich - Many painting of impressionist painter like Cezanne, Degas, Van Gogh e Monet were stolen yesterday from a museum in Zuruch. It was announced by the local police that specified that the value of the painting is around 100 millions of francs (aroud 66 millions of euro). (Agr)

I can't really stand this thieves who continue to steal art pieces, there are many other ways to do a good money-ful robbery: they could choose to burgler one of the many switzerland banks, instead they steal paintings. Who own a art pieces has a responsability towards the entire world, because every single painting or sculpture, etc., is part of the cultural heritage of every one of us.
To commission a theft, o steal an art piece, is a crime towards humanity!

venerdì 8 febbraio 2008

Perché il cinema italiano non è americano? / Why Italian Cinema is not American?

Sul Corriere Megazine di questa settimana c'è un articolo di Antonio D'Orrico che mi ha fatto riflettere. Il titolo è: "Perché il cinema italiano non riesce a fare un film come Blade Runner?" Bella domanda, peccato per le risposte un po' tristi. Si va dal "I film di genere sono proprio maledetti in italia. Non si possono fare" (Fausto Brizzi, regista di Notte prima degli esami, che però poi sfodera alcuni cortometraggi amatoriali di fantascienza) al "Non ci sono i soldi, non c'è il mercato, non ci sono gli attori, non c'è il regista, non ci sono i libri" (Neri Parenti, regista dei cinepanettoni natalizi) fino a "Mi stai chiedendo come mai gli italiani non fanno un film americano. Che domanda è?" (Vincenzo Cerami, autore di "La vita è bella").
Le risposte mi hanno messo profonda tristezza, forse perché sono state interpellate le persone sbagliate. Si sa che in Italia la fantascienza è un genere che proprio non tira, insieme al fantasy, mentre basta metere in scena un omicidio e tutti sono contenti, ma mi sembra assurdo dire che non ci sono gli attori e i libri. Le storie ci sono e sono tante, basta vedere quanti fumetti fantasy e di fantascienza ci sono in giro. Gli attori bravi si trovano, non capisco perché uno possa interpretare un poliziotto figo e non un cavaliere spaziale. Mi viene in mente Raul Bova esportato a Hollywood. E sicuramente i registi giovani e con tanta inventiva ci sono. La verità è che nessuno ha voglia di investire in un film che non sia un tristissimo e stomachevole film di Natale, l'unico genere che in Italia porta milioni di persone al cinema, senza che nessuno riesca a capire come questo sia possibile...forse ci saranno messaggi subliminali incisi nelle pellicole...


On "Corriere Magazine" of this week there is an article by Antonio D'Orrico that made me think. The title is: "Why Italian cinema can't do a movie like Blade Runner?" Nice question, it's a pity the answers were so sad. It begins with "Genre movie are accursed in Italy. We can't do it". (Fausto Brizzi, director of Night before the exams, who then speaks about some homemade sciencefiction short movie) to "We don't have money, we don't have the market, the actors, the directors, the books" (Neri Parenti, director of Cristhmas movies) until "Are you asking me why Italians don't do an American movie? Is that a question?" (Vincenzo Cerami, autor of "La vita è bella").
These answers made me sad, maybe 'cause people heard were wrong. We know in Italy sciencefiction is not a leading genre, as fantasy, while is enough to put in scene a homicede and every one is happy, but I think is absurd to say that we don't have actors or books. We have many good stories: is enough to see how many sciencefiction and fantasy comics there are. We have also good actors, I can't undestand why an actor can be a cool policeman and not a space knight. I think, for istance, at Raul Bova exported in Hollywood. Surely we have lots of young and good directors. The truth is that nobody wants to invest in a movie that isn't a sad and sweet Cristhmas movie, the only genre that in Italy brings millions of people in the cinemas, while nobody can understand how this is possible...maybe there are some strange ipnotic messagges in the films...

mercoledì 23 gennaio 2008

Rosso fragola / Red Strawberry

Il cinema è arte, ma la quantità di arte che c'è in Across the universe è enorme! Un film straordinario, dove le canzoni dei Beatles esplodono in pioggie di fragole rosse...
Una fragola rossa è arte? Una fragola rotta è arte? Tante fragole rosse su un quadro sono arte? Guardate il video e giudicate voi...

http://www.youtube.com/watch?v=98ZoPtIdR2I&feature=related

Cinema is art, but the amount of art in Across the universe is huge! An extraordinary movie, where Beatles' songs explode in a rain of red strawberries...
Is a red strawberry art? Is a broken strawberry art? Are many strawberries on a canvas art?
Watch the video and juge by yourself...

Il Male, il Realismo Russo, Bosch e Brueghel



"Oggi è improprio parlare di 'brutto' e di 'cattivo' nell'arte, perché il 'cattivo' può essere più bello del 'buono': quanto spesso abbiamo visto che il cattivo ispira bellissime immagini e il buono soltanto episodi del peggior kitsch. [...] In molta 'arte degenerata' l'aspetto estetico prevale su quello etico; il compiacimento dell'orrorifico, del lubrico, del deforme è in grado di suscitare capolavori; mentre gli zuccherosi pensieri di un'ipocrita 'bontà' non producono che sterili paesaggini e sbiadite nature morte".
Questa l'opinione di Gillo Dorfles espressa sul Corriere della Sera di ieri in un articolo su "Il demoniaco nell'arte", saggio di Enrico Castelli. Un'idea che mi sento di condividere, perché spesso il Male è molto più interessante del Bene. L'ho sperimentato anche ieri sera vedendo la mostra "Verità e bellezza del Realismo Russo" a Potenza. I quadri più interessanti erano proprio quelli più cupi, dove le atmosfere del freddo russo si sposavano con tagli netti e ombre.


Sarà per questo che nel salotto di casa mia sono appese le stampe de "Il trionfo della morte" di Brueghel e "Il giardino delle delizie" di Bosch. Che l'orrore ci affascini è testimoniato non solo dai tanti romanzi, fumetti e film horror, ma anche dalla morbosa attenzione che la gente e i giornalisti hanno verso i delitti più efferati. Il Male è dunque dentro di noi? Dobbiamo respingerlo o cercare di conviverci e usarlo per migliorare?

"Today is inappropriate to speak about Ugly or Evil in art, because Evil can be more beautiful then Good: we often saw that Evil inspired splendid pictures and Good only episodes of the worst kitsch. [...[ In lot of the "degenerated art" the aesthetic aspect prevails on the moral one; the satisfaction for horror, slithery and unshapely can provoke master pieces; while the sugar thoughts of an hypocritical Good produce only unfertile landscapes and sad still lifes".
This is the opinion of Gillo Dorfles, written on the yesterday "Corriere della Sera" article about "The demoniac in art", essay by Enrico Castelli. An idea that I marry, because Evil often is more interesting then Good. I experimented this also yesterday evening when I went to see the exhibition "Truth and beauty of the Russian Realism" in Potenza. The most interesting paintings were the darkest ones, where the atmosferes of the russian cold melted with hard cuts and shadows.
Maybe is for this reason that in my sitting room I have the print of "The triumph of death" by Brueghel and "The delights' garden" by Bosch. The fascination of horro is testified not only by the many books, comics and horror movies, but also by the attention payed by the people and the journalists towards the most terrible homiceds. Evil is then inside us? Do we have to fight it or try to live with it and use it to be better?

lunedì 21 gennaio 2008

Il segreto dell'Arte / The secret of Art


René Magritte, Le fils de l'homme, particolare

Al Vittoriano a Roma una mostra celebra Paul Gauguin, intanto migliaia di ragazzi riempiono le strade di graffiti. Mantova si prepara a essere invasa da una folla di appassionati di fumetto e qualcuno in questo momento sta scarabocchiando qualcosa su un foglio. Tutto questo è arte, oppure no? Questo post, questo blog, il computer che si usa per leggere queste parole sono arte? Le parole stesse sono arte? Su un articolo apparso nell'ultimo numero di Focus si associava l'arte contemporanea alla provocazione e al fare le cose per primi. Secondo me oggi è più importante il processo creativo del risultato. Ciò che conta è il gesto. E voi che ne pensate? Tutto questo è arte, oppure no? Forse parlandone riusciremo a scoprire cosa c'è dietro la mela di Magritte...
In Rome by the Vittoriano an exhibition celebrate Paul Gauguin, while thousands of youth full the streets with graffits. Mantova in preparing to be invaded by a crowd of comics lovers and in this moment someone is sketching something on a paper. Is all of this art, or not? This post, this blog, the computer you use to read this word are art? The words itselfs are art? On an article appeared in the last number of Focus contemporary art is associated with provocation and to be the first to do new things. For me today it's more important the creative process then the result. What matter is the gesture. What you think about this? Is all of this art, or not? Maybe talking about that we will discover what is hidden beyond Magritte's Apple...