Un film che “cambia la vita, il modo di guardare le cose”. Così
Cristina Mantis descrive “Il carnevale di Dolores”, il suo documentario sui senza fissa dimora già
vincitore del “Tek festival” di Roma e ora in programmazione a
“Life in Gubbio”. Dal 26 al 30 agosto la città umbra si riempirà di eventi dedicati alla vita, presentati da Paolo Bonolis. “Sono felice di essere in un festival incentrato sul sociale, di grande qualità – dice Mantis –. Il mio documentario è nella sezione ‘Vite degne di nota’, questo mi conforta, perché i protagonisti del film sono di certo degni di nota”. “Il carnevale di Dolores”, in programmazione il 27 agosto alle 16, ruota intorno al problema dei senza fissa dimora attraverso gli sforzi di Giuseppina Colucelli, detta Dolores, per trovare una casa. La regista l’ha seguita per sei anni, tra pensioni scalcinate e in mezzo alla strada, tra caro affitti e difficoltà burocratiche. Coprotagonisti Marcello Sediani, “il barbone che vuole la casa”, e Evio Botta, il sindaco dei senza tetto. Quello che all’inizio era solo un interessamento è diventato il progetto di un documentario. “Il film è nato per caso – racconta la regista – mi ha colpito questa donna con le sue bolle a carnevale, mi ha colpito la sua dignità, la sua ricerca disperata. Oggi, dopo sette anni il problema abitativo non è ancora risolto – continua Mantis – c’è ancora carenza di strutture. La situazione non si risolve certo con coperte e panini, né con i dormitori. L’unica soluzione sarebbe quella di case famiglia, magari anche autogestite da barboni, dove ognuno abbia una sua stanza. Per una persona che ha conosciuto la miseria andare in un dormitorio significa venir privato anche della poca dignità che gli è rimasta. Nelle case famiglia si può trovare aiuto per superare i traumi e la depressione che fanno finire in strada”. Una storia, quella di questi barboni, che coinvolge il pubblico, ma soprattutto chi il documentario l’ha girato: “La buona regola impone di essere distaccati quando si raccontano queste vicende – spiega la regista – io ho cercato di esserlo nel montaggio, ma prima è stato difficile. È una storia che ti cambia la vita, ti fa prendere coscienza, ti entra dentro. Ci vuole sensibilità, e ha chiesto il suo prezzo: mi è costata molta solitudine”. L’auspicio della regista è che questo documentario faccia aprire gli occhi a chi lo guarda: “Vorrei tanto che gli spettatori vedessero i barboni in modo differente. A tutti è possibile finire così, tutti i senza tetto erano persone normali che non pensavano di perdere tutto. Basta un trauma, una depressione che può colpire chiunque. La cosa più bella – conclude la regista – sarebbe che la gente avesse vera attenzione e non solo quel rifiuto che purtroppo nasce spontaneo”.
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