lunedì 25 agosto 2008

112.896 fotografie per il mosaico più grande del mondo / 112896 photographes for the biggest mosaic of the world


Addirittura 112.896 fotografie per ricreare l’immagine di un pugile. È il mosaico fotografico più grande al mondo, realizzato grazie alle immagini inviate da migliaia di persone che hanno preso parte al progetto "The big picture" sponsorizzato dall’Arts Council, l’ente britannico per le arti. Il soggetto del collage grande quanto tre campi da tennis, è la fotografia giudicata migliore dai giudici dell’Arts Council e rappresenta il nonno di una ragazza di Tipton, nelle West Midlands, quando nel 1926 faceva il pugile dilettante.
Per esplorare il mosaico: http://mosaic.inthebigpicture.co.uk/

A "Life in Gubbio" reading di Raiz, cantante ecologico / During "LIfe in Gubbio" reading by Raiz, the ecologist singer

“Un tradizionalista moderno”. Così si definisce Raiz, l’ex voce degli Almanegretta, che sarà protagonista di un reading a “Life in Gubbio”. Il festival, che dal 26 al 30 agosto animerà la città umbra con incontri, musica e proiezioni presentati da Paolo Bonolis, ha come tema il senso della vita e il cantante napoletano è chiamato proprio a dare la sua opinione in merito. “Avrò mezzora per dare il mio punto di vista sulle cose – dice Raiz – spero di scatenare risate e qualche riflessione”. Durante l’incontro della sera del 27, l’artista, da lettore vorace quale dice di essere, si farà aiutare da alcuni degli autori a cui è più legato, due su tutti: Pier Paolo Pasolini, “perché ha scritto delle cose molto belle sulla cultura italiana pre-massificazione”, e il rumeno Elie Wiesel, premio Nobel per la pace nel 1986, “per le sue interpretazioni della Bibbia”. Raiz dice di amare gli autori del Novecento e soprattutto quelli “con visioni aperte della vita, che non si fanno influenzare dalle barriere. Le culture si devono confrontare, non scontrare”. Sono questi gli autori che gli hanno ispirato le sue canzoni, mentre dice di non essere ancora pronto per scrivere un libro. “Forse in futuro potrò provarci, ma sono legato alla poesia degli antichi che era comunque affiancata alla musica, la prosa è arrivata dopo”. Qual è, però, il messaggio che il cantante vuole portare al pubblico di Gubbio? “Credo che ci siamo sbagliati a pensare che tutto ciò che ci porta il domani sia migliore dell’oggi – spiega Raiz – il progresso ha schiavizzato l’uomo, facendolo vivere male con il pianeta. Bisogna autoimporsi una austerità, non una vita triste, ma un sano ritorno alla natura. L’uomo ha bisogno di acqua pulita, cibo pulito, aria pulita. Per vivere bene – continua Raiz – dobbiamo apprezzare le cose semplici, cambiando i nostri confini culturali”. Un ritorno al passato che non può non far tornare il cantante alla sua infanzia e alla figura di sua nonna, che “anche se non parlava italiano, aveva una solida cultura”. Un tradizionalista moderno, dunque, ma non legato al passato in maniera cieca, quanto a un tradizionalismo sostenibile, ecologico. “I nostri figli non possono vivere in un mondo sporco – conclude Raiz –. Io sono cresciuto in mezzo ai campi e sono felice”.

venerdì 22 agosto 2008

A "Life in Gubbio" un documentario sui barboni / During "Life in Gubbio" a documentary on clochards


Un film che “cambia la vita, il modo di guardare le cose”. Così Cristina Mantis descrive “Il carnevale di Dolores”, il suo documentario sui senza fissa dimora già vincitore del “Tek festival” di Roma e ora in programmazione a “Life in Gubbio”. Dal 26 al 30 agosto la città umbra si riempirà di eventi dedicati alla vita, presentati da Paolo Bonolis. “Sono felice di essere in un festival incentrato sul sociale, di grande qualità – dice Mantis –. Il mio documentario è nella sezione ‘Vite degne di nota’, questo mi conforta, perché i protagonisti del film sono di certo degni di nota”. “Il carnevale di Dolores”, in programmazione il 27 agosto alle 16, ruota intorno al problema dei senza fissa dimora attraverso gli sforzi di Giuseppina Colucelli, detta Dolores, per trovare una casa. La regista l’ha seguita per sei anni, tra pensioni scalcinate e in mezzo alla strada, tra caro affitti e difficoltà burocratiche. Coprotagonisti Marcello Sediani, “il barbone che vuole la casa”, e Evio Botta, il sindaco dei senza tetto. Quello che all’inizio era solo un interessamento è diventato il progetto di un documentario. “Il film è nato per caso – racconta la regista – mi ha colpito questa donna con le sue bolle a carnevale, mi ha colpito la sua dignità, la sua ricerca disperata. Oggi, dopo sette anni il problema abitativo non è ancora risolto – continua Mantis – c’è ancora carenza di strutture. La situazione non si risolve certo con coperte e panini, né con i dormitori. L’unica soluzione sarebbe quella di case famiglia, magari anche autogestite da barboni, dove ognuno abbia una sua stanza. Per una persona che ha conosciuto la miseria andare in un dormitorio significa venir privato anche della poca dignità che gli è rimasta. Nelle case famiglia si può trovare aiuto per superare i traumi e la depressione che fanno finire in strada”. Una storia, quella di questi barboni, che coinvolge il pubblico, ma soprattutto chi il documentario l’ha girato: “La buona regola impone di essere distaccati quando si raccontano queste vicende – spiega la regista – io ho cercato di esserlo nel montaggio, ma prima è stato difficile. È una storia che ti cambia la vita, ti fa prendere coscienza, ti entra dentro. Ci vuole sensibilità, e ha chiesto il suo prezzo: mi è costata molta solitudine”. L’auspicio della regista è che questo documentario faccia aprire gli occhi a chi lo guarda: “Vorrei tanto che gli spettatori vedessero i barboni in modo differente. A tutti è possibile finire così, tutti i senza tetto erano persone normali che non pensavano di perdere tutto. Basta un trauma, una depressione che può colpire chiunque. La cosa più bella – conclude la regista – sarebbe che la gente avesse vera attenzione e non solo quel rifiuto che purtroppo nasce spontaneo”.